IL CANTICO DEI CANTICI: LETTURA DI BENIGNI E DI KAROL
WOYTJLA
Ho apprezzato l'intervento di Roberto
Benigni al recente Festival di San Remo, il 06/02/2020, a proposito della
lettura del testo biblico sul Cantici dei Cantici.
Nelle sua presentazione di questo libro,
Benigni ha spiegato che nel Cantico non troviamo niente altro se non una
bellissima poesia d'amore che intende esaltare ciò che i greci designavano con
il termine eros.
E' evidente l'intento principale di Benigni:
se questa altissima poesia erotica
entra a far parte dei libri divinamente ispirati, ciò significa che l'eros non
solo non è un male, ma è fortemente raccomandato dalla Bibbia.
Questa interessante provocazione mi ha spinto
a rivedere alcuni paragrafi della mia tesi di dottorato, consacrata interamente
al pensiero etico di Karol Woytjla, in cui, fra l'altro, ho approfondito anche questo
tema dell'eros.
Come è noto, il Papa Giovanni Paolo II,
all'inizio del suo pontificato, ha consacrato vari anni del suo Magistero al
tema dell'amore umano. Il Vaticano ha raccolto tutte queste catechesi in un
grosso volume intitolato: Uomo e donna lo
creò (le mie brevi citazioni qui riportate si riferiscono alle pagine di
questo volume).
Anche Woytjla, che è un grande pensatore, nel
panorama della filosofia e della teologia contemporanea, oltre che,
evidentemente, un santo pastore, parla, a proposito del Cantico, di un
singolare poema d'amore.
A dire il vero il Papa utilizza spesso il
termine di amore sponsale. Questo si
spiega con il fatto che tutta l'esegesi e la teologia biblica ha sempre messo
in relazione l'amore umano con l'amore "sponsale" che esiste tra Dio
e il suo popolo, nell'Antico Testamento, e tra Cristo e la sua Chiesa, nel
Nuovo. Per cui l'amore è detto "sponsale" proprio perché si riferisce
a tutta questa simbologia, o meglio, come sottolinea il testo delle catechesi,
a tutta questa "analogia" amorosa.
Tuttavia Woytjla, assumendo in questo delle
posizioni molto simili a quelle di Benigni, sembra volersi staccare da questa
maniera per così dire analogica di
leggere l'amore umano. Il Papa dice: «Nel Cantico dei Cantici il tema non va
trattato nell'ambito dell'analogia concernente l'amore di Dio verso Israele (o
l'amore di Cristo verso la Chiesa, nella lettera agli Efesini). Il tema dell'amore sponsale, in questo
singolare "poema" biblico, si situa al di fuori di quella grande analogia. L'amore dello sposo e della
sposa nel Cantico dei Cantici è un tema a
sé, ed in ciò sta la singolarità e l'originalità di questo libro» (p. 411).
Più avanti il Papa, in linea con la maggior
parte degli autori contemporanei, conclude dicendo che bisogna leggere il
Cantico come «un poema esaltante il naturale amore umano» (p. 412, nota 3).
Non mi soffermo sull'interessante lettura
fenomenologica, destinata piuttosto agli specialisti, che il Papa fa di questo
amore umano, seguendo i vari passaggi del poema. Faccio solo un breve accenno
all'analisi che lui fa del termine eros.
Innanzi tutto, dice Woytjla, è chiaro che: «Secondo
l’opinione ben diffusa, le strofe del Cantico sono state largamente aperte a
ciò che siamo consueti definire col termine “eros”. Si può dire che quel poema
biblico riproduce con autenticità immune da difetti il volto umano dell’eros» (p. 429). L'attrazione fisica,
ossia erotica, esistente tra l'uomo e la donna è indubbiamente «un processo che
pervade tutto il Cantico» (p. 428).
Evidentemente nell'eros non c'è solamente
attrazione fisica. Ci sono anche sentimenti profondi di nostalgia, quiete e
gioia, così come risulta da molti versetti che parlano in questo senso. In modo
particolare tutto il poema è pervaso da una inspiegabile assenza dello sposo
che lascia indubbiamente una chiara inquietudine
nel cuore della sposa e inonda di un sottile velo di tristezza l'intero
rapporto erotico esistente tra i due partener. Leggiamo nel Cantico: "Sul
mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il
giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amore
dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato ". (Cantico 3, 1-3).
Nel Cantico esiste
anche allora una specie di ricerca, inquieta e incerta, che in un certo senso
sembra sfuggire alla descrizione dell'eros, almeno così come noi contemporanei
ordinariamente lo intendiamo. Tuttavia le strofe che seguono ci fanno vedere
come questo processo di ricerca inquieta si svolge all'interno stesso del
movimento erotico. "Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l’amore
dell’anima mia. Lo strinsi forte e non lo lascerò, finché non l’abbia condotto
nella casa di mia madre, nella stanza di colei che mi ha concepito"
(Cantico 3, 4).
E questa indubbiamente
la posizione di Woytjla. Tuttavia lui sembra andare anche al di là , soprattutto
quando si domanda se l'attrazione, d'indole fisico-sentimentale presente nel
Cantico, riesce ad esaurire completamente tutta la bellezza e in un certo senso
tutta la potenza che racchiude in sé la realtà dell'eros.
Per tentare una risposta, il Papa si sofferma
a lungo sul versetto "forte come la morte è l'amore" (Ct 8,6).
«Queste parole – spiega Woytjla – esprimono la potenza dell'amore, la forza
dell'eros nell'unione amorosa, ma
dicono anche (almeno indirettamente) che questo amore trova la sua fine
conclusiva nella morte» (p. 430).
In realtà questa frase del Cantico riduce
considerevolmente tutta la bellezza dell'amore, che pur bello e forte, è sempre
destinano a finire. Evidentemente Woytila non ci sta a rinchiudere l'eros in
questa esigua prospettiva della morte. Cosa potrà liberarlo allora da questa triste
sorte?
Per cercare di rispondere a questa domanda il
Papa fa appello a un altro passaggio biblico, definito dagli studiosi, come un inno all'amore. Qui si legge,
contrariamente a quanto afferma il Cantico, che l'amore "non avrà mai
fine". Ora, si domanda Woytjla: «In quale rapporto sta l'amore che "è
forte come la morte" secondo il Cantico dei Cantici, con l'amore che
"non avrà mai fine" secondo la lettera paolina?" Evidentemente i
due amori sono in qualque modo collegati. E' come se: "Su ciò in cui l'"eros"
umano chiude il proprio orizzonte, … si aprisse ancora in un altro orizzonte di
amore… Questo amore è stato denominato "agape"» (p. 432).
Riassumendo, troviamo qui due prospettive:
quella dell'eros e quella dell'agape. I due discorsi possono essere integrati a
livello logico e argomentativo, affermando che l'agape interviene quasi a
completare e in un certo senzo ad abbellire, il discorso sull'eros. E' la
spiegazione che ne danno ordinariamente tutti i teologi. Questa spiegazione
sembra essere avvalorata anche dal teologo Woytjla.
Sappiamo tuttavia come lui cerca sempre di
evitare il linguaggio logico argomentativo: "non moltiplichiamo queste
domande, non apriamo l'analisi comparativa" (p. 432). Egli predilige
sempre il discorso che scarutisce dall'esperienza. In effetti è qui, ossia
«nella ricerca che nasce dall'esperienza del reciproco appartenersi» (p 431)
che si trova la vera spiegazione dell'amore.
LÃ dove il teologo spiegava la veritÃ
dell'amore con l'incontro fecondo esistente tra l'eros e l'agape, qui il
filosofo riesce a farla emergere ugualmente mantenendosi, per così dire, sul
piano orizzontale dell'esperienza. Esperienza che significa sempre, nel
pensiero di Woytjla, una piena coscienza, un'aspirazione sincera e una ricerca
assidua. In sé stesso, ossia nella sua personale e reciproca esperienza
amorosa, l'eros riesce a superarsi, o meglio ad auto-superarsi, senza aver bisogno di ricorrere ad altri tipi di
amori, certo ben più alti e nobili, ma pur sempre esterni a sé stesso.
In fondo è sempre il mistero della coscienza
umana che si nasconde dietro tutte le argomentazioni di Woytjla. Ciò che lui
apporta alla riflessione filosofica ricorrente è che questa coscienza non
affiora in modo spontaneo e lineare, così come avviene invece nei fenomenologi
classici. La coscienza, per Woytjla, è sempre frutto di una speciale inquietudine, d'ordine spirituale: "Così
dunque le strofe del Cantico dei Cantici presentano l'eros come la forma
dell'amore umano in cui operano le energie della brama ed è in esse che si
radica la coscienza ossia la certezza
soggettiva del reciproco appartenersi.
Al tempo stesso però molte strofe del poema ci impongono di riflettere sulla
causa della ricerca e dell'inquietudine che accompagnano la coscienza del
reciproco appartenersi. Questa inquietudine fa essa anche parte della natura
dell'eros? Se così fosse, tale inquietudine indicherebbe ad un tempo la necessità dell'auto-superamento"
(p. 431)
L'auto-superamento di tutti i limiti e di
tutti i confini, presente nella coscienza morale dell'uomo, costituisce
indubbiamente il fulcro dell'argomentazione filosofico-teologica del nostro
autore.
Per quanto riguarda il discorso dell'eros,
possiamo benissimo affermare che esso trova, senza uscire da se stesso, il superamento dei confini a cui la
morte sembra inevitabilmente destinarlo. Questo è dovuto al coinvolgimento
della coscienza, presente in tutti i momenti della relazione erotica. Qui, in
questa sorta di abisso della coscienza inesplorata del cuore umano, oltre alle
energie della brama, si intravede, pur nell'incertezza e nell'inquietudine, una
specie di desiderio dello spirito che aspira sempre a qualcosa di più grande e
che tende a raggiungere quegli spazi infiniti di un amore che finalmente non
avrà più fine.