febbraio 2020









Celibato dei preti: il pensiero di Papa Francesco

Un primo dato certo è che Papa Francesco non sarà certamente lui a cambiare la legge ecclesiastica vigente nella chiesa a proposito del celibato. Alla giornalista Carolina Pigozzi che gli chiedeva se fosse possibile pensare che alcuni uomini sposati potessero diventare preti, come avviene della chiesa ortodossa, il Papa risponde: " Mi viene in mente quella frase di San Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”.
Un secondo dato certo è che, in relazione al rito orientale dove gli ordinandi, prima del diaconato, possono optare per il celibato o il matrimonio, il Papa afferma categoricamente: "La mia decisione è: celibato opzionale prima del diaconato, no. È una cosa mia, personale, io non lo farò, questo rimane chiaro. Sono uno “chiuso”? Forse. Ma non mi sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione".
Altro discorso invece riguarda la necessità pastorale. "rimarrebbe qualche possibilità nelle località più remote – penso alle isole del Pacifico… Ma una cosa è pensare quando c’è necessità pastorale, lì, il pastore deve pensare ai fedeli".
Il papa cita al riguardo l'attuale dibattito teologico aperto fra l'altro dal Vescovo Fritz Lobinger che nel suo libro Preti per domani si chiede: come fa una qualsiasi comunità ad essere veramente Chiesa quando le manca l'Eucarestia che solo i preti sono abilitati a celebrare?
Il vescovo propone la sua soluzione che viene riferita dal Papa: "Si potrebbe ordinare un anziano sposato, ma soltanto che eserciti il munus sanctificandi, cioè che celebri la Messa, che amministri il sacramento della Riconciliazione e dia l’Unzione degli infermi. L’ordinazione sacerdotale dà i tre muneraregendi – governare, il pastore –; docendi – insegnare – e sanctificandi. Questo viene con l’ordinazione. Il vescovo darebbe soltanto le facoltà per il munus sanctificandi: questa è la tesi"
Papa Francesco sottolinea il fatto che si tratta di una tesi di questo vescovo e non di una sua decisione. Tuttavia aggiunge: "Il libro è interessante. Forse questo può aiutare a pensare al problema. Io credo che il problema dev’essere aperto in questo senso, dove c’è problema pastorale, per la mancanza di sacerdoti. Non dico che si debba fare, perché non ho riflettuto, non ho pregato sufficientemente su questo. Ma i teologi devono studiare".
A questo riguardo il Papa cita un caso emblematico: "Parlavo con un officiale della Segreteria di Stato, un vescovo, che ha dovuto lavorare in un Paese comunista all’inizio della rivoluzione; quando hanno visto come andava quella rivoluzione – negli anni Cinquanta, più o meno – i vescovi hanno ordinato di nascosto dei contadini, bravi, religiosi. Poi, passata la crisi, trent’anni dopo, la cosa si è risolta. E lui mi diceva l’emozione che aveva avuto quando, in una concelebrazione, vedeva questi contadini, con le mani da contadino, mettersi il camice per concelebrare con i vescovi. Nella storia della Chiesa, questo è accaduto. E’ una cosa da studiare, da ripensare, e da pregare". (Vedi anche i cristiani in Corea dopo l'espulsione dei gesuiti).
Evidentemente anche nell'esortazione apostolica Querida Amazzonia Papa Francesco non prende nessuna decisione in materia. Invita solo tutti a tenere in grande considerazione il Documento finale del Sinodo, dove i vescovi, a larga maggioranza, propongono fra l'altro l'ordinazione presbiterale per alcuni diaconi permanenti, già sposati. (n. 111).
In realtà, ci si rende conto di quanto il Papa si trovi attualmente in un contesto assai sfavorevole e inopportuno. In effetti accanto alle riflessioni del vescovo Lobinger esistono pressioni provenienti da altri teologi, molto più prestigiosi ed elevati, che sembrano suggerire al Papa di avere molto tatto e molta prudenza.
In realtà sappiamo bene come per quanto riguarda la nostra fede nessun sistema teologico né tanto meno filosofico è in grado da farla da patrone o tanto meno di imporsi sugli altri (cf VS, 29).
Per ciò che riguarda invece la prassi pastorale Papa Francesco sembra lasciare ai vescovi e alle varie conferenze episcopali il compito di trovare la migliore strategia locale che sia in grado di fare da mediazione tra la dottrina e la prassi.
Tuttavia, pensando al caso dei contadini ordinati preti, si ha l'impressione che molti vescovi, pur manifestando il loro attaccamento alla retta dottrina, stentino ancora a cogliere e ad accogliere la grande novità pastorale che Papa Francesco vuole immettere nel circuito ecclesiale e anche in quello dottrinale.


IL CANTICO DEI CANTICI: LETTURA DI BENIGNI E DI KAROL WOYTJLA

Ho apprezzato l'intervento di Roberto Benigni al recente Festival di San Remo, il 06/02/2020, a proposito della lettura del testo biblico sul Cantici dei Cantici.
Nelle sua presentazione di questo libro, Benigni ha spiegato che nel Cantico non troviamo niente altro se non una bellissima poesia d'amore che intende esaltare ciò che i greci designavano con il termine eros.
E' evidente l'intento principale di Benigni: se questa altissima poesia erotica entra a far parte dei libri divinamente ispirati, ciò significa che l'eros non solo non è un male, ma è fortemente raccomandato dalla Bibbia.
Questa interessante provocazione mi ha spinto a rivedere alcuni paragrafi della mia tesi di dottorato, consacrata interamente al pensiero etico di Karol Woytjla, in cui, fra l'altro, ho approfondito anche questo tema dell'eros.
Come è noto, il Papa Giovanni Paolo II, all'inizio del suo pontificato, ha consacrato vari anni del suo Magistero al tema dell'amore umano. Il Vaticano ha raccolto tutte queste catechesi in un grosso volume intitolato: Uomo e donna lo creò (le mie brevi citazioni qui riportate si riferiscono alle pagine di questo volume).
Anche Woytjla, che è un grande pensatore, nel panorama della filosofia e della teologia contemporanea, oltre che, evidentemente, un santo pastore, parla, a proposito del Cantico, di un singolare poema d'amore.
A dire il vero il Papa utilizza spesso il termine di amore sponsale. Questo si spiega con il fatto che tutta l'esegesi e la teologia biblica ha sempre messo in relazione l'amore umano con l'amore "sponsale" che esiste tra Dio e il suo popolo, nell'Antico Testamento, e tra Cristo e la sua Chiesa, nel Nuovo. Per cui l'amore è detto "sponsale" proprio perché si riferisce a tutta questa simbologia, o meglio, come sottolinea il testo delle catechesi, a tutta questa "analogia" amorosa.
Tuttavia Woytjla, assumendo in questo delle posizioni molto simili a quelle di Benigni, sembra volersi staccare da questa maniera per così dire analogica di leggere l'amore umano. Il Papa dice: «Nel Cantico dei Cantici il tema non va trattato nell'ambito dell'analogia concernente l'amore di Dio verso Israele (o l'amore di Cristo verso la Chiesa, nella lettera agli Efesini). Il tema dell'amore sponsale, in questo singolare "poema" biblico, si situa al di fuori di quella grande analogia. L'amore dello sposo e della sposa nel Cantico dei Cantici è un tema a sé, ed in ciò sta la singolarità e l'originalità di questo libro» (p. 411).
Più avanti il Papa, in linea con la maggior parte degli autori contemporanei, conclude dicendo che bisogna leggere il Cantico come «un poema esaltante il naturale amore umano» (p. 412, nota 3).
Non mi soffermo sull'interessante lettura fenomenologica, destinata piuttosto agli specialisti, che il Papa fa di questo amore umano, seguendo i vari passaggi del poema. Faccio solo un breve accenno all'analisi che lui fa del termine eros.
Innanzi tutto, dice Woytjla, è chiaro che: «Secondo l’opinione ben diffusa, le strofe del Cantico sono state largamente aperte a ciò che siamo consueti definire col termine “eros”. Si può dire che quel poema biblico riproduce con autenticità immune da difetti il volto umano dell’eros» (p. 429). L'attrazione fisica, ossia erotica, esistente tra l'uomo e la donna è indubbiamente «un processo che pervade tutto il Cantico» (p. 428).
Evidentemente nell'eros non c'è solamente attrazione fisica. Ci sono anche sentimenti profondi di nostalgia, quiete e gioia, così come risulta da molti versetti che parlano in questo senso. In modo particolare tutto il poema è pervaso da una inspiegabile assenza dello sposo che lascia indubbiamente una chiara inquietudine nel cuore della sposa e inonda di un sottile velo di tristezza l'intero rapporto erotico esistente tra i due partener. Leggiamo nel Cantico: "Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato ". (Cantico 3, 1-3).
Nel Cantico esiste anche allora una specie di ricerca, inquieta e incerta, che in un certo senso sembra sfuggire alla descrizione dell'eros, almeno così come noi contemporanei ordinariamente lo intendiamo. Tuttavia le strofe che seguono ci fanno vedere come questo processo di ricerca inquieta si svolge all'interno stesso del movimento erotico. "Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l’amore dell’anima mia. Lo strinsi forte e non lo lascerò, finché non l’abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza di colei che mi ha concepito" (Cantico 3, 4).
E questa indubbiamente la posizione di Woytjla. Tuttavia lui sembra andare anche al di là, soprattutto quando si domanda se l'attrazione, d'indole fisico-sentimentale presente nel Cantico, riesce ad esaurire completamente tutta la bellezza e in un certo senso tutta la potenza che racchiude in sé la realtà dell'eros.
Per tentare una risposta, il Papa si sofferma a lungo sul versetto "forte come la morte è l'amore" (Ct 8,6). «Queste parole – spiega Woytjla – esprimono la potenza dell'amore, la forza dell'eros nell'unione amorosa, ma dicono anche (almeno indirettamente) che questo amore trova la sua fine conclusiva nella morte» (p. 430).
In realtà questa frase del Cantico riduce considerevolmente tutta la bellezza dell'amore, che pur bello e forte, è sempre destinano a finire. Evidentemente Woytila non ci sta a rinchiudere l'eros in questa esigua prospettiva della morte. Cosa potrà liberarlo allora da questa triste sorte?
Per cercare di rispondere a questa domanda il Papa fa appello a un altro passaggio biblico, definito dagli studiosi, come un inno all'amore. Qui si legge, contrariamente a quanto afferma il Cantico, che l'amore "non avrà mai fine". Ora, si domanda Woytjla: «In quale rapporto sta l'amore che "è forte come la morte" secondo il Cantico dei Cantici, con l'amore che "non avrà mai fine" secondo la lettera paolina?" Evidentemente i due amori sono in qualque modo collegati. E' come se: "Su ciò in cui l'"eros" umano chiude il proprio orizzonte, … si aprisse ancora in un altro orizzonte di amore… Questo amore è stato denominato "agape"» (p. 432).
Riassumendo, troviamo qui due prospettive: quella dell'eros e quella dell'agape. I due discorsi possono essere integrati a livello logico e argomentativo, affermando che l'agape interviene quasi a completare e in un certo senzo ad abbellire, il discorso sull'eros. E' la spiegazione che ne danno ordinariamente tutti i teologi. Questa spiegazione sembra essere avvalorata anche dal teologo Woytjla.
Sappiamo tuttavia come lui cerca sempre di evitare il linguaggio logico argomentativo: "non moltiplichiamo queste domande, non apriamo l'analisi comparativa" (p. 432). Egli predilige sempre il discorso che scarutisce dall'esperienza. In effetti è qui, ossia «nella ricerca che nasce dall'esperienza del reciproco appartenersi» (p 431) che si trova la vera spiegazione dell'amore.
Là dove il teologo spiegava la verità dell'amore con l'incontro fecondo esistente tra l'eros e l'agape, qui il filosofo riesce a farla emergere ugualmente mantenendosi, per così dire, sul piano orizzontale dell'esperienza. Esperienza che significa sempre, nel pensiero di Woytjla, una piena coscienza, un'aspirazione sincera e una ricerca assidua. In sé stesso, ossia nella sua personale e reciproca esperienza amorosa, l'eros riesce a superarsi, o meglio ad auto-superarsi, senza aver bisogno di ricorrere ad altri tipi di amori, certo ben più alti e nobili, ma pur sempre esterni a sé stesso.
In fondo è sempre il mistero della coscienza umana che si nasconde dietro tutte le argomentazioni di Woytjla. Ciò che lui apporta alla riflessione filosofica ricorrente è che questa coscienza non affiora in modo spontaneo e lineare, così come avviene invece nei fenomenologi classici. La coscienza, per Woytjla, è sempre frutto di una speciale inquietudine, d'ordine spirituale: "Così dunque le strofe del Cantico dei Cantici presentano l'eros come la forma dell'amore umano in cui operano le energie della brama ed è in esse che si radica la coscienza ossia la certezza soggettiva del reciproco appartenersi. Al tempo stesso però molte strofe del poema ci impongono di riflettere sulla causa della ricerca e dell'inquietudine che accompagnano la coscienza del reciproco appartenersi. Questa inquietudine fa essa anche parte della natura dell'eros? Se così fosse, tale inquietudine indicherebbe ad un tempo la necessità dell'auto-superamento" (p. 431)
L'auto-superamento di tutti i limiti e di tutti i confini, presente nella coscienza morale dell'uomo, costituisce indubbiamente il fulcro dell'argomentazione filosofico-teologica del nostro autore.
Per quanto riguarda il discorso dell'eros, possiamo benissimo affermare che esso trova, senza uscire da se stesso, il superamento dei confini a cui la morte sembra inevitabilmente destinarlo. Questo è dovuto al coinvolgimento della coscienza, presente in tutti i momenti della relazione erotica. Qui, in questa sorta di abisso della coscienza inesplorata del cuore umano, oltre alle energie della brama, si intravede, pur nell'incertezza e nell'inquietudine, una specie di desiderio dello spirito che aspira sempre a qualcosa di più grande e che tende a raggiungere quegli spazi infiniti di un amore che finalmente non avrà più fine.


2 Febbraio 2020 Presentazione del Signore.

Conclusione del ciclo natalizio. Rito giudaico prescritto dalla legge di Mosè. Ogni primogenito…: Vedi la mia esperienza legata alle ricerche sul mio battesimo…
Oggi: Giornata di celebrazione per la vita… ringraziamo per il dono della vita e soprattutto per il dono della fede che è la vera lampada della nostra vita.
IL 2 febbraio si celebra anche la Giornata della vita consacrata… Accordaci o Dio di "essere presentati… di presentarci a te… di rispondere 'presente' alla tua chiamata.
Ma soprattutto. Giornata della luce (candelora, benedizione delle candele…). Cf Simeone: "Luce per illuminare le genti… E' una luce grande che risplende su tutti i popoli e lungo tutta la storia… ma anche una luce sottile e nascosta che brilla nel nostro cuore come lo dice S. Giovanni di Napoli: "Se l'uomo interiore è illuminato, non smarrisce la sua strade, sopporta ogni contrarietà e non si perde di coraggio" (Ufficio giovedì III sett. TO).
Luce interiore che scorga dall'ascolto e dalla pratica della Parola: "ora lascia che il to servo… secondo la tua Parola"… La Parola è la nostra lampada, la nostra strada, il nostro coraggio… anche nelle contrarietà.
Come lo è stato per Maria, alla quale Simeone ha detto: "Anche a te … una spada": Quest'ultima parola getta su tutta la scena della presentazione un'ombra di tristezza … tuttavia sappiamo che anche sul Calvario Maria ha saputo stare in piedi e abbracciare tutto il suo dolore in vista di dare a noi maggiore coraggio nelle nostre contrarietà.
Teniamo sempre desta la lampada della fese. Diciamo con S. Sofronio: "Anche noi, abbracciando con la fede Cristo vedremo con gli occhi il Dio fatto carne e lo accoglieremo [come Simeone] nelle braccia dello spirito" (Ufficio del 2 Febbraio).

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