gennaio 2020


III Domenica del Tempo Ordinario Anno A (2020)

Dopo l'investitura del Battesimo e la testimonianza gli rende Giovanni (domenica scorsa), Gesù inizia decisamente la sua missione e la sua opera di annuncio della Parole e di guarigione dei malati.
Una delle prime cose che fa è quella di chiamare i futuri apostoli, ossia di scegliersi dei collaboratori.
Sicuramente fa questo pensando all'opera futura degli apostoli che avrebbero dovuto continuare la missione del Maestro ma anche per mostrare a tutti che lui non ha voluto portare avanti da solo la sua missione, anche se poteva benissimo farlo.
Come tutto questo potrebbe essere di stimolo per i nostri responsabili politici e sociali (oggi, giorno di elezioni regionali!) in un mondo in cui questi responsabili cercano solo un protagonismo personale e un liderscismo esasperato e estremamente solitario. La missione di Gesù e la missione della Chiesa è invece una missione comunitaria, in equipe: se non c'è unità non c'è neanche missione.
E' interessante notare anche il luogo dove Gesù si dirige, a quale popolazione s' indirizza. Il Vangelo ci dice che "lascia la Giudea dove c'era Nazareth, citta in cui era cresciuto, e si reca "oltre il Giordano" in una terra chiamata dai giudei, in maniera un po' dispregiativa "Galilea delle Genti", a causa del metissaggio etnico, culturale, e insieme alla grande confusione che regnava in quelle terre a causa degli scambi commerciali.
Questa Galilea delle genti, assomiglia da vicino al nostro mondo attuale e a tante nostre citta plurietniche. E importante sapere che è proprio questa la terra che Gesù sceglie per iniziare il suo ministero. Il nostro mondo allora, anche se è cosi svariato e così preso dal commercio e da tante altre cose, è il mondo propizio all'annuncio del Vangelo.
Il metissaggio dei popoli dovuto al fenomeno dell'emigrazione non deve essere motivo di scontro e di paura. Esso è piuttosto una opportunità di incontro di crescita reciproca. Per noi cristiani questa galilea delle genti è l'unica strada da percorrere. Strada certamente difficile e complicata ma anche ricca di prospettive e di grandi vantaggi.
Infatti su questa strado, su "questo popolo che abitava nelle tenebre…. Una luce è sorta". Cf. mia esperienza in africa… dove si dà tanto, ma anche si riceve tanto. Cr. CCRR "… e i poveri vi evangelizzeranno" …Vi daranno un senso alla vita, una gioia, una prospettiva….
Un'altra realtà di oggi è la celebrazione della "Domenica della Parola". Cf. II lettura. Mi ha sempre colpito, a questo riguardo, quello che dice S. Paolo nella seconda lettura " Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo": ne ho fatto tante volte l'esperienza in Africa con i miei numerosi catecumeni che avevano fretta di ricevere il battesimo anche se talvolta non erano ancora nelle disposizioni adatte per poterlo ricevere…. Dicevo loro che ciò che più conta è ricevere la Parola e non il sacramento….
A parte questi bei ricordi africani c'è sempre la nostra attualità italiana che ci dà maggiore luce su questa frase detta da S. Paolo ai cristiani di Corinto. Quando mi immergo in questo nostro contesto occidentale mi colpisce innanzi tutto quello che sento dire sempre più sovente dai nostri responsabili politici e sociali. E' finito – dicono – il tempo delle ideologie. Per quanto riguarda la politica – continuano – noi non apparteniamo più né all'ideologia di destra né a quella di sinistra.
Se si chiede loro a cosa appartengono, qual è cioè la loro identità, allora quasi tutti rispondono che stanno preparando una specie di congresso per trovare delle idee nuove oppure semplicemente qualche idea. Il problema è di sapere dove e come trovarle queste idee. Certo lo scambio e il confronto è utilissimi, ma cosa avverrebbe se le idee che ognuno può apportare, sono in realtà molto scarse, e in fondo si rivelano essere delle piccole idee non molto differenti da quelle di prima?
Dico ciò che per me risulta sempre essere una sorgente di grandi idee. Mi ha ispirato una preghiera di oggi 25 gennaio in cui celebriamo la Conversione di S. Paolo. Leggiamo nell'Ufficio delle lodi: "Gloria a te Signore, per la mensa della tua parola, preparata a noi dagli apostoli, è il Vangelo del tuo Figlio che ci illumina e ci conforta".
Se entriamo nel mondo delle idee, possiamo facilmente constatare come ognuno ha le sue, sempre presupposto che ne abbia qualcuna! Ognuno ha i suoi metodi e le sue tattiche per potersene procurare sempre di nuove.
Per me questa preghiera che ho citato dell'Ufficio della conversione di S. Paolo è stata sempre una sorgente inesauribile di idee, spesso ben chiare e distinte, talvolta un po' laboriose, ma alla fine sempre vere, precise e molto produttive.


Anno A. II domenica del Tempo Ordinario (2020)

Il vangelo di oggi è in grande continuità con quello di domenica scorsa in cui abbiamo celebrato la solennità del Battesimo del Signore. Tra il racconto di Matteo (3,15-17) e quello odierno di Giovanni (1,29-34) ci sono molte similitudini, anche perché narrano tutti e due la stessa scena del battesimo di Gesù
1. A proposito del vangelo di oggi vorrei soffermarmi su alcune sottolineature dell'evangelista che insiste moltissimo sulla preziosa testimonianza data dal Battista.
Innanzi tutto ci parla di una sorta di esperienza mistica di Giovanni che dice: "Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui".
Evidentemente non si tratta della vista degli occhi, anche perché lo Spirito, eccetto il Padre nessuno lo ha mai visto, né può mai vederlo,
Infatti non possiamo mai vedere con gli occhi del corpo qualcosa che per definizione è immateriale, e di cui Gesù stesso ha detto che è come il vento che soffia dove vuole, senza che noi sappiamo "di dove viene e dove va ( Gv. 3,8). A più forte ragione possiamo vederlo raffigurato sotto forma di colomba. Perciò parlo, a proposito del Battista, di esperienza mistica.
Vedere lo Spirito significa dunque vedere ciò che lo Spirito sta operando nel mondo. Il cristiano è chiamato a essere, in un certo senso, colui che vede al d ilà della superficialità e che discerne questa presenza di Dio che sta già lavorando nel mondo per trasformarlo. 
Ciò non significa che non sia vera ed efficace. Anzi essa è molto istruttiva anche per noi e ci dice che anche noi, come Giovanni possiamo fare la stessa esperienza, ossia l'esperienza di "vedere" lo spirito. Noi che lo abbiamo ricevuto come Gesù al momento del nostro battesimo e da allora esso "si posa" calmamene sul nostro spirito e ivi rimane per sempre.
Quanto è importante questo depositarsi, o meglio, questo congiungersi dello Spirito, sul nostro spirito, aumentandone immensamente le sue capacità di vedere, ossia di giudicare di riflettere, di capire e comprendere…. Quanto è importante, specie oggi in cui assistiamo ad una specie di livellamento dello spirito e della mente, chiedere che anche noi siamo in quado di fare la stessa esperienza mistica di Giovanni Battista.
Per poter vedere lo Spirito in noi…. (Cf San Ignazio Lunedi II settimana) e negli altri, sui quali si è posato lo spesso spirito che noi abbiamo ricevuto. Per non guardare gli altri a partire dalla marca delle scarti o dalla firma che appare sui loro vestiti.
Una seconda testimonianza che Il Battista ci offre è quella della conoscenza di Gesù: "Io non lo conoscevo, ma … ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio"
Con Gesù Giovanni sembra avere un rapporto quasi di subbordinanza: "Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me". Invece sappiamo quanto è grande l'amore di Giovanni per Gesù, anche se i due si sono visti e parlati solo all'occasione del Battesimo di Gesù e non altrove. Il Battista manifesta ai suoi discepoli questi suoi sentimenti profondi nei confronti di Gesù quando si paragona all' "amico dello sposo, che gioisce alla voce dello sposo" (Gv, 3, 29). Questa relazione profonda che lega Giovanni a Gesù è forse la testimonianza più bella e significativa que il Presursore ci ha lasciato in eredità.
2. Quanto a Gesù, nel vangelo di oggi Lui non figura per niente in i. Il Battista lo annuncia e ce lo indica, ma lui non c'è, né dice alcuna parola, come invece era avvenuto al momento del Battesimo ("Lascia fare per ora…." Mt, 3, 15).
Il salmo responsoriale (S 39) ci svela tuttavia tutto il mistero di questa assenza e di silenzio. Qui si dice infatti che Lui parla, non con le parole ma con i fatti: "Non tengo chiuse le mie labbra …. Allora ho detto. 'ecco io vengo'. In fondo Gesù ci dice che sono finiti i tempi dei bei discorsi e delle belle parole. L'ora è giunta di passare all'azione.
Quanto è importante anche per noi deciderci una buona volta per tutte di uscire allo scoperto. Non chiuderci dentro il nostro guscio, dove spesso ci nascondiamo per paura di aprirci all'incontro, alla vita semplice, alla gentilezza. E, a furia di nasconderci, finiamo per non riconoscerci più, per non avere più idee, progetti, convinzioni, svendendoci agli altri o a nessuno, senza più sapere chi siamo né cosa vogliamo.
Quanto questo atteggiamento di Gesù è importante anche per i nostri responsabili politici e sociali, i quali non sanno più dire altro che : parole, comizi, propaganda….
Mettere in pratica la parola, decidersi di alzare la mano e fare un passo in avanti rispetto a questo appiattimento generalizzato delle menti e degli spiriti, dicendo: eccomi, vengo io…. ci aiuta invece a ritrovare noi stessi; a ritrovare il nostro equilibrio in seno alla società e alla famiglia: Ci aiuta a costruire benessere, pace, serenità e prosperità; a conservare un ambiente pulito. Infatti non sono tanto gli scarichi dei motori diesel che inquinano l'ambiente, bensì il vuoto mentale e spirituale che ci mette in balia degli altri, di quello che dicono e di ciò che vogliono farci credere.
A questo proposito c'è una bella parola di Sant'Ignazio che ho pregato in questi giorni nella Liturgia delle Ore: "E' meglio essere cristiano senza dirlo che proclamarlo senza esserlo… Il mio spirito non è che un nulla, ma è associato alla croce, stoltezza per i pagani, ma per noi è salvezza e virtù eterna" (Lunedi seconda settimana).
3. Infine pensiamo alla presenza e alla voce del Padre. Anche Lui, in questo passaggio del Vangelo di oggi, non parla. Ma la parola del profeta Isaia (I Lettura) sembra dargli la parola: "Dio era stato la mia forza, e mi disse: è troppo poco che tu sia mio servo"
Il Padre infatti è colui che ci sostiene, ci dà fiducia, ci dà delle ide e delle energie spirituali: "ti renderò luce delle nazioni". Ci dà forza perché noi possiamo "portare la salvezza fino all'estremità della terra". Affinché noi possiamo parlare al suo posto. Aprire la nostra bocca e parlare la parola della speranza e del sorriso.
Tutto ciò è il segreto del Padre, la sua parola, che è una sola: l'amore, di cui Egli ci ha resi capaci e di cui noi tutti abbiamo un estremo bisogno:
"Lo spirito dell'uomo ha in sé la capacità e anche il bisogno di amare …. Nella nostra stessa costituzione naturale abbiamo questa forza di amare… che ciascuno di noi può sperimentare dà sé stesso e in sé stesso". (S. Basilio Magno, Martedì II settimana).







Dibattito sul celibato ecclesiastico

A proposito del libro Des profondeurs de nos coeus  (Dalle profondità dei nostri cuori) del Cardinale Robert Sarah.

Non prendo qui in considerazione l'eventuale contributo del Papa Emerito Benedetto XVI. Infatti bisogna rispettare al riguardo la precisazione di Monsignor Gänswein: https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2020-01/libro-celibato-chiarimento-monsignor-gaenswain.html

Anche per ciò che scrive il Cardinale mi limito solo alla citazione e ad un breve commento di Presbiterorum Ordinis 16. Il Cardinale afferma: « Come lo ricorda il concilio Vaticano II, il celibato dei chierici non è una semplice prescrizione della legge ecclesiastica, ma un "dono prezioso di Dio" » (p. 161, traduco dal francese) . Queste ultime parole tra virgolette citano esplicitamente, anche se con qualche lieve variante, il Concilio che invita appunto tutti noi ad "avere a cuore questo dono prezioso del celibato sacerdotale".

Segue l'affermazione centrale di tutto il libro in cui traspare l'obbiettivo principale che il Cardinale. Egli scrive: «Esiste un legame ontologico-sacramentale tra il sacerdozio e il celibato» (Ibid.). Il Cardinale, qualche pagina prima, aveva già chiaramente annunciato questo legame ontologico, quando affermava: « La domanda d’ordinazione di uomini sposati rivela una profonda ignoranza del legame ontologico tra celibato e sacerdozio » (p. 129).

A questo punto è bene vedere cosa dice esattamente il Concilio a proposito di questo dibattito sul celibato. Mi ha molto impressionato, in maniera positiva, il fatto che il sito ufficiale del Vaticano abbia sentito il bisogno di riportare il testo di PO 16 e di farne un breve ma preciso commento. L'articolo infatti titola: Il celibato sacerdotale secondo il Concilio: un dono, non un dogma.

In particolare si riporta qui il passaggio che parla appunto della "natura" del celibato in cui si dice: «La perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli (...) non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali». (PO, 16)

C'è da concludere quindi che, se il celibato non è richiesto, ossia non appartiene, alla "natura stessa" del sacerdozio, esso conserva certamente un legame giuridico e sacramentale con il sacerdote, ma non si tratta evidentemente di un "legame ontologico", cioè richiesto in modo universale e necessario dell'essere sacerdotale.

Di che tipo di legame allora sarebbe meglio parlare? Riprendo, per tentare una qualche risposta, alcune espressioni di PDV 50, citate fra l'altro anche nel libro del Cardinale Sarah, dove leggiamo: " Il celibato sacerdotale non è da considerarsi come semplice norma giuridica, … bensì come un valore … come la scelta di un amore più grande … [esso] esige la risposta cosciente e libera."

Questi termini rimandano alla scelta interiore di carattere esclusivamente etico. Per cui, a partire da queste affermazioni di PDV, tra il sacerdozio e il celibato si può parlare sì di legame, ma di un legame di natura eminentemente etica, e non ontologica. Il celibato e "un valore profondamente connesso con l'ordinazione" (PDV 50); perfettamente "confacente alla vita sacerdotale" (PO 16), tuttavia non risulta ad essa con-naturale. Il legame ontologico esiste, ma è quello che "unisce il sacerdote a Cristo" (PDV 11). Il celibato riguarda esclusivamente il "ministero" del prete, più che il suo vero "mistero", che è appunto la sua "connaturalità" e la sua "configurazione" con il Cristo Sacerdote, tramite lo Spirito (Cf, PDV 46).

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